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Il consumo di alcol in Italia e in Europa: nuovi trend e trasformazioni

Aggiornamento: 26 gen






Nel bere come nell’alimentazione in generale le nostre abitudini si stanno concentrando sempre più su un consumo consapevole e sulla prevenzione. Abbiamo a disposizione molte più informazioni sull’effetto delle sostanze sul nostro corpo, la salute e il benessere sono diventati la priorità di tante aziende e in Italia c’è anche un fattore culturale: mangiare e bere bene è da sempre una prerogativa italiana.


In questo scenario, come cambia il consumo di bevande alcoliche?

Considerando che solo 2 uomini su 10 e 4 donne su 10 sono astemi, il tema alcol è di grande interesse e ancora fonte di argomentazioni e tabù che andrebbero affrontati.

In Italia, dagli anni Settanta ad oggi il consumo pro capite di alcol è passato da circa 19 litri (dove la media europea era 14) a 7 e mezzo. L’italia è stata la prima nazione europea a raggiungere l’obiettivo della riduzione del 25% dei consumi pro-capite di alcol proposto dalla WHO (Word Health Organization) che ha da poco impostato un altro obiettivo di ridurre il consumo del 10% entro il 2025. Ha inoltre stabilito un piano d’azione (dal 2022 al 2030) per limitare il consumo dannoso che farà parte della più ampia strategia mondiale di lotta alle malattie cronico-degenerative.

Tutto verte dunque su un consumo informato in un panorama in cui 1 persona su 3 preferisce bere bevande a basse gradazioni.


Facciamo però un passo indietro: cos’è l’alcol?

L’alcol è un macronutriente che apporta per ogni grammo di etanolo 7,1 kcal (1 grammo = 1% vol.) e può essere misurato in vari modi dove il più comune è esprimere il contenuto alcolico in percentuale sul volume totale (% vol. oppure AVB.). Un altro metodo, molto utilizzato in Inghilterra, è l’Unità Alcolica (U.A.) per quantità di prodotto.

1 U.A. corrisponde a circa:

  • 1 bicchiere di vino da 125 ml a 12% vol.

  • 1 birra da 330 ml a 4,5% vol.

  • 1 shot di superalcolico da 25 ml a 40% vol.

Quando invece si eccedono le 5 o più di U.A. per gli uomini e 4 per le donne in una singola occasione viene considerato binge drinking cioè un consumo eccessivo.


Perché beviamo di meno?


Un altro possibile deterrente per il consumo di alcol o una conseguente riduzione di quantità a favore della qualità sono i costi e in particolare le accise.

Le accise in UE sono un benchmark interessante per capire sia il benessere di un paese (genere Big Mac Index) sia, più probabilmente, il rapporto che i cittadini hanno con l’alcol e il suo consumo.

Prendiamo come riferimento una bottiglia da litro di un gin comune a 42% di volume alcolico.

Considerate che il paese dove l’alcol “costa meno” è la Bulgaria con un’accisa su litro pari a € 2,36, mentre quello dove costa di più è la Svezia dove la stessa bottiglia costerà solo di accise € 21,30, (quasi 10 volte la Bulgaria) mentre la nostra Italia si posiziona a € 4,34 sempre per la stessa bottiglia.


La Svezia ha addirittura regolamentato la vendita degli alcolici per cui tutto quello che sta sopra i 3,5% vol. può essere venduto solo tramite la Systembolaget, un’azienda pubblica di proprietà del governo


Sorpresi?


Ecco perché molti paesi, soprattutto quelli del nord Europa stanno sempre più attenti a quanto e come consumano. Lo si può intuire anche dal trend dei premiscelati negli ultimi 3 anni, i cocktail RTD (Ready To Drink) che stanno pian piano sostituendo le bottiglie di spirit sugli scaffali dei supermercati perché più economici, più pratici dove non serve conoscenza per servirli e hanno una gradazione fissa che in genere si aggira attorno ai 7% vol.

E fuori dall’Europa?

La nascita dei RTD si può ricollegare agli Stati Uniti dove ormai il mercato ha raggiunto il 10% del volume totale delle bevande alcoliche e secondo gli analisti di IWSR raggiungerà il 25% entro il 2026. Anche la Cina sta al passo considerando che si spendono in media 4 miliardi di dollari all’anno per questa categoria, apprezzata soprattutto dai Millennial.


L’Italia, anche se si guarda bene da tutto quello che è “ready to..” e preconfezionato, ha comunque da insegnare in termini di qualità soprattutto sulla materia prima, di cui si parla sempre poco all’estero. Nei prossimi anni però prevediamo che anche l’Italia non resterà immune a questo nuovo modo di produrre e consumare alcolici sempre più comodo e versatile: con cocktail pre-made e pronti per essere gustati. Per questo bisognerà farsi trovare preparati e difendere la propria nomea proponendo alternative 100% made in Italy. Questo è uno degli obiettivi di CC-drinks.


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